L’impresa familiare

Con la legge di riforma del diritto di famiglia (19 maggio 1975 n. 151), è stata introdotta nel nostro ordinamento l’impresa familiare (art. 230 bis).

Tale istituto ha lo scopo di tutelare giuridicamente i familiari, evitando quelle situazioni di sfruttamento dei familiari, molto diffuse nelle attività agricole, artigianali, alberghiere, commerciali. Con l’impresa familiare il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo. La moglie del titolare avrà diritto al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia, e quindi indipendentemente dal lavoro svolto all’interno dell’impresa o nella famiglia. Invece il diritto di partecipare agli utili dell’impresa è in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

 

I collaboratori familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo) non hanno un vero e proprio diritto di gestire l’impresa insieme all’imprenditore, ma soltanto il potere di condizionarne le decisioni. Queste decisioni devono essere deliberate dalla maggioranza numerica dei familiari (compresi i minorenni o gli interdetti); ogni familiare ha diritto ad un voto, indipendentemente dalla quota di partecipazione.

 

Per i debiti dell’impresa è responsabile soltanto l’imprenditore e non i suoi familiari.

Soltanto il titolare dell’impresa familiare può concludere contratti con i fornitori, con le banche e con i dipendenti. Pertanto nei rapporti esterni l’impresa familiare è un’impresa individuale e il capo dell’impresa ha la rappresentanza verso i terzi.

 

La disciplina dell’impresa familiare è indipendente dalle dimensioni dell’impresa e dalla natura dell’attività esercitata: pertanto l’impresa familiare può essere piccola o ordinaria, agricola o commerciale.