patto di stabilità e crescita - Trattato di Maastricht

Con il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, alcuni Paesi europei (fra cui l’Italia) decisero di adottare una moneta unica in sostituzione delle rispettive monete nazionali, e così dal 1° marzo 2002, dopo una serie di scadenze e il rispetto di alcuni parametri economici, 12 Paesi dell’Unione europea hanno introdotta l’euro. Ad essi si sono poi aggiunti la Slovenia, Cipro, Malta, la Slovacchia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania.  Questi Paesi non hanno solo deciso di adottare un’unica moneta ma, contemporaneamente, hanno stabilito di avere anche una sola politica monetaria, orientata principalmente alla stabilità dei prezzi. La nascita dell’euro costituisce un evento unico nella storia delle monete: non era infatti mai accaduto che Paesi diversi si accordassero per sostituire le valute nazionali con una moneta unica, valida su un territorio retto da Governi diversi. Nel prendere tale decisione, i Paesi europei erano consapevoli che un risultato tanto ambizioso sarebbe stato possibile solo a due condizioni:

un buon grado di omogeneità tra le rispettive economie;

un bilancio pubblico caratterizzato da un disavanzo non eccessivo.

 

Il Trattato di Maastricht, ripreso dal Trattato di Lisbona, stabilisce che possono accedere alla moneta unica soltanto i Paesi che rispettano alcuni criteri di omogeneità strutturale e di sostenibilità della finanza pubblica, detti appunto “criteri di convergenza”.

 

Per quanto riguarda la sostenibilità della finanza pubblica, i criteri di convergenza stabiliscono che possono accedere nell’area dell’euro soltanto i Paesi che presentano:

un rapporto fra il disavanzo pubblico e il prodotto interno lordo (Pil) non superiore al 3% alla fine dell’ultimo esercizio finanziario concluso;

un rapporto fra il debito pubblico il Pil non superiore al 60% del Pil alla fine dell’ultimo esercizio di bilancio concluso, in caso contrario il rapporto deve essersi ridotto in misura sufficiente e deve avvicinarsi al valore di riferimento con ritmo adeguato.

 

Nel 1997, il Trattato di Amsterdam, più comunemente noto come Patto di stabilità e crescita, ha completato il Trattato di Maastricht, stabilendo che i Governi dei Paesi che adottano l’euro devono rispettare i parametri relativi alla finanza pubblica anche successivamente al loro ingresso nella Uem, e anche quando la circostanze economiche sono loro meno favorevoli, come in presenza di una recessione. Per fare questo i Paesi dell’Eurozona si sono impegnati a raggiungere nel medio termine una situazione di bilancio strutturale in pareggio, pensando in tal modo di poter ricorrere a politiche fiscali anticicliche, senza per questo superare i limiti imposti dal Trattato di Maastricht, quando si fossero trovati in difficoltà.

 

Nel 2005, dopo un biennio di discussioni, i Governi europei decidono di allentare il rigore del Patto di stabilità offrendo ai Paesi dell’eurozona la possibilità di derogare al limite del 3% nel rapporto deficit/Pil e un arco di tempo più ampio per rientrare dal deficit (2 anni in più). Tale possibilità tuttavia è subordinata alla introduzione di provvedimenti particolari come interventi per la crescita, maggiori spese nel campo della ricerca e dello sviluppo, investimenti pubblici, riforme strutturali (soprattutto nel campo della spesa pensionistica).

Recentemente l’Eurosistema ha un nuovo strumento in grado di migliorare la capacità di affrontare le crisi sistemiche: il Fondo per la stabilità finanziaria europea (Fsfe), fondo costruito sulla falsariga del Fondo monetario internazionale, finanziato dai Paesi dell’area dell’euro, che offre al Fondo stesso la possibilità di intervenire sui mercati per sostenere i Paesi in crisi di liquidità monetaria.