La teoria dello Stato liberale, affermatasi in Europa dopo la Rivoluzione francese, che si potrebbe sintetizzare col celebre motto laissez faire, sosteneva che le funzioni dello Stato si limitassero ai suoi compiti istituzionali (cioè la difesa militare, l’amministrazione della giustizia e l’ordine pubblico).
Veniva così lasciata all’iniziativa privata tutta una serie di attività socialmente rilevanti (sanità, trasporti, istruzione professionale ecc.) nella convinzione che l’intromissione dei pubblici poteri nella vita sociale ed economica fosse inopportuna e controproducente. Negli ultimi decenni del secolo XIX e i primi decenni del secolo XX, anche grazie all’influenza delle dottrine marxiste, si fanno sempre maggiormente sentire nei Paesi occidentali le richieste di una maggiore giustizia economica e sociale e anche di un generale miglioramento del livello di vita dei cittadini (contestualmente nascono i partiti di massa e i movimenti sindacali). Sotto queste pressioni i governi diventano sempre più sensibili ai problemi connessi al benessere sociale. Viene così ad instaurarsi lo Stato del benessere (Welfare State), che in un certo senso è l’aspetto economico-sociale dello Stato Moderno. Esso, pur mantenendo i suoi originari compiti istituzionali, moltiplica i propri interventi sia legislativi (ad esempio per regolare l’esercizio di attività economiche di interesse pubblico) sia operativi, riservandosi in via quasi esclusiva alcune attività economico-sociali di rilevante importanza.
Da qui la nascita di un servizio sanitario nazionale, i servizi di pubblica istruzione e addirittura l’intervento pubblico per salvare dal dissesto economico le imprese in crisi, evitando così alle classi lavoratrici le conseguenze della disoccupazione.

 

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