COME CAMBIANO IMPRESE E LAVORO IN ITALIA: LO SMART WORKING

smart working o lavoro agile

 

 

L’emergenza da Covid-19 che stiamo vivendo nel nostro Paese ha sicuramente modificato le dinamiche relative al mercato del lavoro. Una grande opportunità in tal senso nasce dal ricorso ad una nuova modalità: il lavoro agile, detto anche smart working (legge n.81/2017). Ovvero un sistema che svincola il lavoratore dal posto di lavoro, poiché quest’ultimo non è più tenuto a svolgere l’attività lavorativa nella sede dell’azienda e il punto focale non diventano le ore lavorative, bensì i risultati prodotti. Il lavoratore agile può adempiere i propri obblighi lavorativi direttamente da casa, mediante la tecnologia “mobile” di internet o anche tramite una connessione wi-fi. L’azienda dovrà garantire parità di trattamento con gli altri lavoratori (vale a dire le medesime condizioni giuridico-economiche, comprese le coperture assicurative stabiliti dai contratti collettivi nazionali di categoria), senza discriminazioni in tal senso: infatti, non cambia il contratto di lavoro, ma si ha una differente modalità lavorativa. Il lavoratore può accordarsi con il proprio datore di lavoro in riferimento alle fasce orarie in cui dovrà lavorare a distanza, compresi gli orari dove potrà disconnettersi (indicazioni obbligatorie per legge).

 

Dall’entrata in vigore della normativa si registra che il 30% delle grandi imprese italiane abbia già avviato dei progetti di smart working, mentre nelle piccole-medie imprese questo sistema è diffuso soltanto per il 5% di esse. Altro punto da considerare è la gestione dei controllo sul lavoratore, nonché il diritto-dovere del datore di lavoro di monitorare sul corretto svolgimento della prestazione dei propri dipendenti, a patto che rispetti i limiti fissati dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori. In particolare, l’articolo 4 è particolarmente rilevante quando parliamo di smart working, poiché pone il divieto all’installazione e all’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza l’attività lavorativa del dipendente, tranne nel caso in cui il ricorso a tali apparecchi sia stato concordato precedentemente con i sindacati o sia stato autorizzato dall’Ispettorato territoriale del lavoro.

 

Concretamente quindi i datori di lavoro non potranno usare i software aziendali, le webcam e altri strumenti simili per capire se il lavoratore è collegato in quel momento e in quali siti ha effettuato l’accesso, poiché sarebbe una palese violazione della sua privacy. Il Jobs Act nel 2015 è intervenuto in merito, aggiungendo un ulteriore elemento: se lo strumento di controllo a distanza è lecitamente e adeguatamente installato, il datore di lavoro ha l’obbligo di informare preventivamente il lavoratore sulla possibilità di eseguire controlli sul suo operato. Probabilmente nell’attuale situazione non tutti i criteri saranno adottati e integrati dalle aziende, vista l’emergenza, ma il frequente ricorso a tale modalità lavorativa diventa sempre più evidente.